La diagnosi di tumore è uno degli eventi più temuti. Forse perché, oggi più di prima, lo conosciamo molto bene, soprattutto nei suoi effetti, nel suo impatto sulla persona e su chi la circonda, nelle cure che implica ed in ciò che esse comportano. Associamo dolore, sofferenza, rabbia, lunghi tempi di attesa, poi parrucche, foulard, stanchezza, interventi chirurgici.
Lo conosciamo, in qualche modo, eppure quando arriva la diagnosi siamo comprensibilmente e totalmente impreparati: “Cosa devo fare? Come mi devo muovere? Cosa succederà?”

Sul piano medico lentamente arrivano le risposte: esami, visite, specialisti, ospedali e centri di eccellenza corrono in aiuto. Sul piano psicologico la faccenda si fa più complessa, soprattutto quando ad ammalarsi è un genitore e nella famiglia ci sono figli ancora minori.

Abbiamo già letto in precedenza quanto sia fondamentale comunicare e costruire attraverso la “fabbrica delle parole” un confronto aperto e sincero finalizzato alla condivisione di ciò che accade con l’arrivo della malattia, soprattutto da un punto di vista emotivo.
Quando però il nucleo familiare si trova in difficoltà, quando le parole non arrivano e le comunicazioni si fanno difficili, quando nessuno sente di riuscire a prendere in mano la situazione e si cede al silenzio, allora può essere utile l’intervento dello psicologo.

Chi contatta lo psicologo?
La mamma, il papà, i nonni, gli zii, tutti possono essere coinvolti a seconda delle circostanze e della situazione familiare.
I figli, soprattutto nella fase iniziale, non vengono invece incontrati. Questa scelta di lavorare “dietro le quinte”, cioè di non coinvolgere direttamente i figli, permette da un lato di non “patologizzare” i loro vissuti di preoccupazione, paura, angoscia, assolutamente legittimi; dall’altro di confermare al genitore o chi per esso il suo ruolo, la sua posizione, la sua funzione che, neppure la malattia, può e deve intaccare.

Come si svolgono gli incontri?
L’intervento psicologico prevede una prima fase in cui vengono raccolte informazioni circa la storia della famiglia (caratteristiche, dinamiche tra le persone che la compongono, ruoli, organizzazione, situazioni sfavorevoli pregresse) e l’evento malattia (decorso clinico, cambiamenti nell’assetto familiare, implicazioni, conseguenze, reazioni dei vari membri). E’ una fase faticosa e delicata ma necessaria per un duplice obiettivo: in primo luogo per capire e conseguentemente affrontare le fatiche, le resistenze, l’empasse in cui la famiglia si è ritrovata e che impediscono di accedere ad una sana comunicazione; in secondo luogo perché non si vogliono fornire consigli né procedure comunicative standard e asettiche, ma individuare le modalità più appropriate per ogni sistema familiare, “fabbricando” insieme le parole più adeguate e più affini al contesto e soprattutto ai minori che vi appartengono.
I genitori conoscono molto bene i propri figli: “lui è il più sensibile”, “lei è quella che parla poco, bisogna proprio tirarle fuori le parole di bocca“, “il grande sembra sempre arrabbiato”, “il piccolo è quello solare e che racconta tantissimo”.
L’approccio comunicativo va costruito, nella seconda fase dell’intervento psicologico, proprio sulla base di questi elementi rispettando la natura, i tempi, lo stile e l’indole di ogni minore presente in famiglia. In questo modo da un lato il genitore non si sente solo con la sua malattia, ma circondato dalla consapevolezza di tutti e dalla condivisione con tutti di un peso arrivato all’improvviso. Dall’altro lato i figli non si sentono esclusi da ciò che sta accadendo, o addirittura responsabili di un allontanamento e di un silenzio che non comprendono, ma accolti in uno spazio a loro misura dover poter porre domande e ricevere risposte compatibili con la loro età, natura e carattere.

E’ possibile dare spazio anche ai figli minori?
Nel caso in cui il contesto e le vicende familiari siano critiche, è previsto l’incontro con i bambini o gli adolescenti al fine di aiutarli, in assenza di una rete di riferimento, a comprendere quanto accade fuori e dentro di loro, spesso con la collaborazione dell’équipe medica che si prende cura del genitore malato. L’approccio utilizzato non si discosta da quanto esplicitato in precedenza: in una prima fase vengono raccolte le informazioni relative alla situazione nel modo più delicato possibile; in un secondo momento si costruiscono insieme nella “fabbrica delle parole” domande e risposte necessarie per prendere contatto con la realtà della malattia, sempre senza mai dimenticare la natura e le caratteristiche di chi si ha di fronte.

Come si evince da una recente ricerca condotta in Italia (De Benedetta G., Ruggiero G., Pinto A., 2008) “Il potenziamento e il sostegno della relazione genitori-figli rappresenta un aspetto importante nella gestione globale delle malattie neoplastiche. Attraverso una adeguata attenzione a tale aspetto sarà possibile prevenire o contenere il disagio emotivo che accompagna il paziente oncologico e la sua famiglia durante l’iter della malattia”.
Compito dei curanti è allora quello di “aiutare il genitore” attraverso una buona comunicazione ed una buona relazione “a percepire i figli non come una ulteriore preoccupazione nell’ambito della malattia oncologica, ma come una vera e propria “risorsa” capace di migliorare la compliance alla malattia e la qualità di vita” perché esiste sempre una parte preservata dalla malattia, cioè quella della relazione con i propri figli e della funzione genitoriale senza soluzione di continuità. 

 

BIBLIOGRAFIA

  • AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici) (2008). Cosa dico ai miei figli? Una guida per i genitori malati di cancro. Opuscolo informativo
  • Crotti N. (2001). Una famiglia come la tua. Affrontare insieme la malattia. Tormenta Editore
  • Crotti N., Scambia G. (2005). Psiconcologia della famiglia. Poletto Editore, Milano
  • De Benedetta G., Ruggiero G., Pinto A. (2008). Genitori e figli: il “parenting” nei pazienti oncologici. Un aspetto ancora poco considerato nella gestione delle malattie neoplastiche, Recenti progressi in Medicina, Vol. 99, n°1, Gennaio 2008: pg. 19-26
  • Weebers J.E. H.M. (2004). The impact of parental cancer on children and family: a review of the literature. Cancer treat Rev. 2004 30(8), Pagg. 683-694

 

Dott.ssa Elisa Longari
Psicologa Psicoterapeuta